martedì 29 novembre 2011

una storia da raccontare

Una storia non raccontata è una storia persa.
Non ricordo quando e dove lessi una simile frase, ma è senz’altro certo che una storia intrappolata nella tua fantasia o nella tua memoria sia inevitabilmente destinata a perdersi, per cui vorrei raccontarvi della storia di un ragazzo che si era innamorato del vento.
Sì, avete capito bene: amava, odiava e adorava perdersi nel vento, annullarsi per lui, come un amante inebriato dal suo stesso amore.
Perché, vi chiederete.
Perché il vento gli aveva portato via quanto di più caro avesse al mondo. O almeno così gli sembrava ad appena quindici anni.
***
Questa è una storia nata dalla spuma del mare di una piccola isola, spersa nel tacito mediterraneo, culla di bellezza e ricchezza, seppur a volte si riveli crudele, estremamente crudele, come una donna bella ma fatale.
Il ragazzo appena adolescente, passeggiando per le vie assolate del paese, vide un giorno arrivare insieme a tanti altri disperati, una giovane ragazza. Aveva la pelle color dell’ebano, i suoi lineamenti erano delicati ma terribilmente segnati: Dalla stanchezza, dalla guerra, dall’oblio che probabilmente aveva vissuto, ma al giovane pescatore sembrava la donna più bella che avesse mai visto. Non aveva mai guardato la televisione, salvo rare occasioni, per cui non aveva mai fantasticato su qualche valletta,modella o ballerina etc. Leggeva tanti libri però. Ed, inevitabilmente, finiva per innamorarsi dei personaggi.
E quella ragazza gli ricordava proprio uno di quei personaggi dei libri di avventura che aveva letto e amato.
***
Un anziano insegnante, stanco della vita, aveva deciso di finire i suoi giorni (così diceva) in quella bella e maledetta isola, dove la realtà più cruda del mondo non pensava potesse raggiungerlo.
La bontà e la crudeltà ,però, vanno di pari passo con la presenza dell’essere umano; Difficile sfuggirne. E questo lo sapeva bene, ma amava illudersi, del resto aveva passato la sua esistenza ad essere pragmatico ed ormai era solo.
Tutte le mattine amava passeggiare sulla spiaggia, per poi fermarsi al piccolo porto ad osservare i pescatori tornare con casse piene di pesce fresco. Un giorno, però, notò che uno dei più giovani teneva fra le mani segnate dalle reti un libro, “I dolori del Giovane Werther”. Incuriosito, si avvicinò, raschiò la sua voce e col modo da vecchio insegnante burbero crucciò lo sguardo e si rivolse al ragazzo : “ Bene, vedo che qualcuno su quest’isola ama la letteratura”.
Il ragazzo, lo osservò per qualche istante. Poi rispose: “ Non l’ho ancora iniziato a dir la verità, l’ho trovato sul comodino dell’hotel, qualche turista deve essersene dimenticato e il proprietario, amico di mio padre, l’ha lasciato a me”.
“ Uhm, capisco” continuò col tono di voce sorda, “ e quando avresti intenzione di leggerlo?”.
“ Il prima possibile. Adesso, devo andare”. E si allontanò con le pesanti casse, sorridendo.
Da quelle prime e imbarazzate parole, i due capirono che c’era qualcosa che li legava.
Il giorno successivo il giovane si limitò ad aspettare l’anziano al porto, ansioso di raccontargli quanto quel libro gli fosse piaciuto, con la spontaneità che può caratterizzare un ragazzino gioviale ed entusiasta. Non aveva paura dell’insegnante, del resto era giovane, sì, ma aveva iniziato a lavorare molto tempo prima e sapeva quanto le persone più severe siano anche le più sincere ed infondo le più buone, questo lo aveva imparato da suo nonno.
L’insegnante, da parte sua, adorava il suo entusiasmo, e se a volte finiva per lanciargli degli sguardi di disapprovazione, non sapeva resistere a lungo con quel tono cattedratico che lo aveva accompagnato per anni nelle aule imponenti di palazzotti, popolate da figli, per lo più annoiati, di alti borghesi. Ne era fin troppo stufo. E il tutto finiva in una risata. Ma c’era un grande rispetto tra i due, quasi tra gentiluomini d’altri tempi.
Così il giovane, ogni mattina dopo la pesca, andava a casa dell’insegnante, che orgoglioso di avere uno studente appassionato, lo sommergeva di libri e di appunti delle sue lezioni di letteratura.
Entrambi erano sereni, specialmente quanto nei mesi invernali il ragazzo non andava in barca, ma svolgeva un raro lavoro di manutenzione al porto. Un factotum insomma, che si dava da fare e che era amato da tutti in quel piccolo paese sperduto.
Fino a che non arrivò colei che venne denominata nei suoi sogni “perla nera”.
***
L’anziano insegnante aveva passato un intero anno insieme al ragazzo e pareva ringiovanito . La passione e il sorriso rinnovano l’ anima. E lo sapeva bene il giovane che sentiva pulsare nelle vene la forza della vita, sempre di più. In ogni suo gesto, in ogni sguardo, si sentiva fiero e capace di qualsiasi cosa, instancabile e intenso come un eroe romantico. Ma gli mancava qualcosa, e non capiva cosa.
Nel giorno del suo quindicesimo compleanno, bussò come di consueto alla porta dell’anziano, ma non trovò nessuno. Solo un foglio spuntava dalla cassetta della posta: “Per il mio allievo più capace”.
Aprì il foglio e non vi trovò scritto nulla.
Fissò ancora per un po’ quel bianco vuoto, che sapeva di assenza, di mancanza.
Poi, lo infilò in tasca e iniziò a passeggiare per il paese, convinto che quel messaggio volesse dire qualcosa, qualcosa di molto profondo, ma che gli sfuggiva.
E in quel momento, vide lei.
Non era sola, certo, ma il suo sguardo aveva scelto lei, solo lei, come se il resto del mondo, i suoi compaesani accorsi per aiutare e per controllare, persino il mare e il sole non esistessero se non per lei e attorno a lei. Il vento, gelido e imprevedibile dell’autunno, però lo svegliò da quel sogno.
La piccola imbarcazione, già precaria si rovesciò vicino al porto, dove l’acqua era ancora profonda, così senza esitazione, corse veloce come non aveva mai fatto in tutta la sua vita, neppure quando rincorreva i gabbiani sulla spiaggia nell’assurdo tentativo di sfidare il loro volo.
Tolta rapidamente la giacca, si tuffò e nel limpido blu la trovò mentre senza forze, con gli occhi ben aperti, si lasciava portare via dal mare.
La prese tra le sue braccia e la portò in superficie, sino alla spiaggia, mentre altri pescatori stavano salvando altri compagni di sventura.
La sdraiò, e nel suo sguardo vuoto, vide l’abisso più nero.
Rimase turbato a tal punto da scoppiare in un pianto disperato e straziante. Il medico accorse, la rianimò e la portò al suo ambulatorio.
Per tre lunghe notti, e ancora più lunghi giorni, non si mosse dalla scomoda sedia posta vicino al letto d’alluminio nella bianca stanza, dove lei giaceva.
Il medico era preoccupato. Disse che era probabilmente stanca di vivere a tal punto da non aver neppure la forza e la voglia di lottare, nonostante la giovane età. Doveva avere sui quattordici o sui quindici anni, ma dentro era ben più vecchia. E lui, che aveva fatto il missionario, lo sapeva bene.
L’anziano insegnante chiamato, poco dopo dalla madre del giovane, preoccupata perché il figlio non voleva né rientrare per dormire, né mangiare, non ebbe il coraggio di dirgli nulla. Si sedette al suo fianco. E rimase in silenzio. Fino a che, alzandosi per tornare a casa all’ora del tramonto, il ragazzo con stanca rabbia gli afferrò il braccio e con un filo di voce lo maledì per non avergli mostrato con tutte le sue belle parole quanto fosse crudele la vita.
Aveva provato il dolore di un dito spezzato dalle reti troppo pesanti, gli urti nelle partite con gli amici, lo schiaffo del padre arrabbiato, ma niente di tutto questo faceva così male.
L’insegnante non rispose, svincolò il braccio e uscì dalla stanza. Il ragazzo allora lo inseguì e gli urlò in faccia tutto il suo malessere. Poi, si lasciò abbracciare, ancora singhiozzante. Piangeva, ma era come se non avesse più lacrime, e poco dopo si addormentò.
Svegliato dal chiarore del sole che filtrava dalle finestre, vide che l’insegnante e la madre stavano sonnecchiando in due poltrone lì vicine. Il padre, doveva essere ancora in mare.
Cercò la ragazza nel letto al suo fianco, ma non c’era più.
Lo sgomento gli annebbiò la mente. La madre si svegliò e cercò di rasserenarlo, dicendo che andava tutto bene. Si arrabbiò anche con lei, come non aveva mai fatto prima di allora e le disse di uscire. Nel frattempo, l’insegnante si era alzato e dal fondo della stanza lo osservava immobile. Poi si avvicinò.
“ Non ti ho insegnato che cosa sia il dolore, perché non lo si può fare. Credimi, se avessi potuto lo avrei senz’altro fatto. Non sopporto vederti così, mi ricordi mia moglie quando perdemmo il nostro unico figlio. Era un’anima sensibile e non ce l’ha fatta. Si è lasciata morire. Io invece, superbo e distante, ho guardato in silenzio; non piangevo perché non avevo lacrime, il mio cuore era arido, freddo, ed in quel momento fu come se fosse andato in mille pezzi, perché con quella fitta che quasi mi ha portato via, ho compreso che la mia vita era finita ancor prima della loro. Non avevo vissuto per molti anni ”.
Il ragazzo lo guardò intensamente con gli occhi sbarrati, poi si scusò. Non poteva sapere quanto anche lui avesse sofferto. Era stato crudele.
“ Hai la rabbia tipica dei giovani. Va bene. Non sono in collera con te, hai vissuto una scena straziante, sei sconvolto. Nessuno dovrebbe vedere quanto male si sia in grado di fare … E io credevo di esserne fuggito ”.
In quel momento, entrò il medico.
Guardò il ragazzo e sorrise. Non se ne erano accorti perché stavano tutti dormendo, ma la ragazza si era svegliata, e l’aveva portata in cucina a mangiare. Non doveva aver mangiato da giorni. Disse che l’avrebbe riportata lì a momenti. Poi uscì.
Una silenziosa gratitudine cosparse la stanza.
Il ragazzo si alzò di scatto e cercò di rendersi presentabile, con la spavalderia di chi vuole fare bella figura.
Lei, arrivò poco dopo. Tutti le si avvicinarono, ma era impaurita e diffidente; preferì essere sorretta dalla madre dal ragazzo. Sedutasi sul letto, indicò il ragazzo e gli fece il gesto di avvicinarsi. Probabilmente il medico doveva averle spiegato quanto si fosse impegnato per salvarla e quanto le fosse stato vicino, oppure lo sapeva semplicemente in cuor suo, perché avvicinatosi, gli accarezzò il volto e con lo sguardo lo ringraziò, come solo con gli occhi si può fare.
***
Passarono intere giornate in riva al mare, senza scambiarsi neppure una parola.
Del resto, non servivano le parole. Bastavano i gesti e gli sguardi: Adorava sognare di perdersi tra i suoi corvini capelli che, scossi dal vento incessante, si confondevano sul suo volto, costringendola a raccoglierli e a mostrare un timido bianco sorriso; una falce di luna immersa nella notte della sua pelle color ebano. I suoi lineamenti erano stati incisi da mani crudeli, ma niente poteva confondere la sua imperante bellezza.
E il ragazzo, raccontando con molte pause e occhi sognanti le sue giornate, all’improvviso chiese all’insegnante come fosse possibile che si comprendessero così a fondo senza neppure scambiarsi una parola. Aveva passato ore ed ore a leggere e a fantasticare a chissà quale ragazza avrebbe scritto lettere
struggenti come quelle di eroi romantici, e adesso, tutto quello che aveva imparato pareva che non gli servisse.
L’anziano iniziò a ridere.
E il giovane lo guardò indispettito. “Tu non mi prendi sul serio”.
“Assolutamente, rido perché la tua ingenuità è fuori dal comune. In anni di insegnamento, ho visto ragazzi più piccoli di te molto più smaliziati di tanti adulti, e questo mi fa sorridere. Hai la fortuna di essere fuori dal mondo e di prenderne nella semplicità solo il meglio”. Fece una pausa, poi proseguì: “ Vedi, le parole non sono sempre essenziali, conta molto di più cosa ti dice il vento che soffiando attraversa il tuo cuore … e tu, pescatore, lo conosci bene”.
“Il vento?” chiese con sguardo interrogativo.
“Sì, il vento che ha condotto sino a qui la tua amata, il vento che quasi te l’ha strappata via dalle braccia … il vento che porta lontano i baci e i sogni di amanti distanti, e che benevolo ti concede i suoi sorrisi di gratitudine”. “Rispetta il vento, che può donare quanto togliere, sconquassare o soffiare leggero come una brezza accompagnando la tua attesa”.
“Farò di più”, disse il ragazzo, “ lo amerò per quanto mi ha dato e gli chiederò perdono per averlo odiato. Lo seguirò nel volo dei gabbiani e da lui imparerò lingue lontane”. Detto questo, estrasse dalla tasca della giacca il bianco foglio e iniziò a scrivere una poesia.
MaRea (M.R.)
dama di corte

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