sabato 24 settembre 2011

Storia di un operaio che incontrò un angelo, se ne prese cura e se ne innamorò



Tanto tempo fa in una terra lontana lontana viveva un semplice operaio. Era elettricista anche se in realtà cambiava solamente le lampadine ai lampioni del centro, affinché i ricchi della sua città potessero essere illuminati nel proprio cammino a qualsiasi ora della giornata ed in qualsiasi tipo di condizione metereologica.
Un lavoro umile, ma che eseguiva costantemente senza tanti se, senza tanti ma.
Viveva da solo in un piccolo monolocale e nonostante le ristrettezze economiche nelle quali versava si poteva permettere ogni tanto di coltivare alcune sue passioni: la musica, la lettura, l'arte.
Passioni vissute umilmente, da ospite. 
In realtà l'operaio viveva anche la propria vita da ospite.
Quando percorreva la strada che lo portava a lavoro stava sul ciglio nonostante fosse la parte con più buche e con più intralci. 
Quando pioveva era costretto a procedere con cautela per evitare di scivolare e finire in una pozzanghera; in realtà era una cautela inutile perché i rapidi passaggi dei mezzi sui vari specchi d'acqua causati dalla pioggia provocavano spesso delle grandi ondate che lo infradiciavano dalla testa ai piedi.  
Gli era stato insegnato, infatti, di non intralciare il passaggio a chi procedeva più rapidamente, ai ricchi in carrozza, ai gendarmi a cavallo, ai prepotenti a piedi. Lui era un semplice operaio: ad ognuno il suo posto, ad ognuno il suo ruolo.
Lo stesso quando era in centro a cambiare le lampadine: doveva farlo il più velocemente possibile e quando si apprestava ad andarsene doveva farlo all'interno dei fasci d'ombra proiettati dai lampioni: non sarebbe stato giusto che i ricchi vedessero un uomo di così basso livello camminare tra loro, anche solo a causa del suo lavoro.
Poco importa se spesso per rispettare questa regola finiva in vicoli poco frequentati nei quali dopo essere stato picchiato veniva anche derubato. 
Le regole sono regole e vanno rispettate. 
Tutto questo, gli dicevano, è per il bene delle persone che valgono più di te.
Un giorno mentre tornava da un turno di lavoro più duro del normale, nel quale un inaspettato sbalzo di corrente aveva fatto fulminare un gran numero di lampadine, stava camminando sul suo solito ciglio canticchiando malamente l'ultima canzone della sua band preferita quando vide in mezzo alla strada una figurina rannicchiata che sembrava si coprisse con un mantello fatto solamente di piume. Avvicinatosi leggermente gli sembrò che brillasse come di luce propria: impossibile, sicuramente era dovuto alla sua scarsa intelligenza che lo portava a vedere cose che in realtà non esistevano. Non era ricco e quel poco che aveva studiato in realtà non lo aveva capito tanto bene. 
Chiunque fosse colui o colei che si trovava sulla strada a lui non doveva interessare: il centro della strada per lui era vietato quindi non poteva metterci piede: sicuramente era un ricco che aveva giustamente bevuto un po' troppo ed ora si trovava a riprendere un po' d'aria prima di rincasare; si spiegava così anche il perché brillasse di luce propria. Probabilmente essendo i ricchi così importanti, i più grandi scienziati al mondo avevano inventato un vestito che li illuminasse anche quando era più buio, cosicché chiunque avesse potuto dire incrociando la loro figura: guardate c'è un ricco! Facciamoli spazio e ringraziamolo per tutto quello che fa per noi!
Proprio in quel momento stava però avvicinandosi una carrozza a tutta velocità ed andava talmente veloce che non si sarebbe accorta in tempo dell'ostacolo. L'operaio avrebbe fatto uno strappo alla regola però doveva avvertite lo sfortunato dell'imminente pericolo. Prima bisbigliò, poi alzo man mano la voce fino ad urlare di spostarsi perché la carrozza l'avrebbe travolto uccidendolo.
Il "forse-ricco" però non dava segni di ascoltarlo. Sembrava come immerso ad osservare la propria coperta e ad accarezzarla.
All'operaio non restava che far fermare la carrozza: avrebbe infranto la somma regola, ma i passeggeri probabilmente avrebbero capito. Si gettò quindi in mezzo alla strada agitando fortemente le braccia; la carrozza si fermò appena in tempo per non colpire l'operaio. 
Quest'ultimo non ebbe neanche il tempo di proferire una parola che il conducente era sceso dalla sua postazione ed aveva iniziato a picchiarlo ed a colpirlo con la frusta per i cavalli. 
Ad esso si univano gli insulti e gli sputi dei passeggeri.
Il tutto durò dieci minuti: l'operaio si trovò quindi steso a terra con la bocca riempita del suo stesso sangue misto alla polvere ed alle lacrime. Sarebbe stato meglio se la carrozza gli fosse passata sopra; avrebbe provato sicuramente meno dolore. 
La morte l'avrebbe salvato da questo supplizio.
Il "forse-ricco" era ancora dietro di lui, avvolto nella sua coperta.
L'operaio provava dentro di sé un dolore sordo: non era semplicemente il dolore fisico, che comunque in quel momento era quasi insopportabile.
Per la prima volta nella sua vita provava amarezza. 
Provava rabbia per un mondo che non da lo stesso spazio a tutti. 
Provava rabbia per un mondo che prende ma non si sa mai se renderà indietro con i dovuti interessi.
Ma questo l'umile uomo non poteva capirlo.
Avrebbe voluto andarsene e lasciare quell'essere che gli aveva provocato così tanti problemi là in mezzo alla strada. Ma l'uomo era buono e i buoni non sanno seguire la strada più semplice. 
I buoni non imparano mai dai loro errori. 
I buoni sono talmente perseveranti da risultare dementi.
I buoni, insomma, camminano sempre sul ciglio.
Si avvicinò zoppicante e improvvisamente capì che ciò che aveva davanti era veramente un angelo. I ricchi sono belli, ma l'essere che aveva davanti era più che bello.
Non era definibile con parole terrestri, con un linguaggio umano.
Biondi riccioli cadevano disordinatamente ai lati del volto, incorniciando due occhi infuocati di ghiaccio ed una bocca fine come un ruscello, appetitosa come una mela.
La pelle non era perfetta come l'operaio si immaginava fosse quella degli angeli. In realtà niente in quel che vedeva era perfetto. Si immaginava che gli angeli non cadessero mai, che potessero soltanto volare, librarsi in volo sopra i comuni mortali, ancora più dei ricchi, gendarmi o prepotenti. Quest'angelo era sporco, affaticato, ma soprattutto spaventato. 
Ma a lui non importavano queste credenze. 
Se ne era innamorato.
Riuscì nonostante le numerose ferite a caricarsi l'angelo sulle spalle ed a portarlo fino in casa sua dove lo coricò sul proprio letto e nonostante l'estenuante turno di lavoro che lo aspettava, passò tutta la notte a prendersi cura del suo angelo.
Cercò per quanto possibile di far calare la febbre che faceva scottare la bianca fronte, di pulire la polvere che macchiava il suo abito, le sue ali candide, le sue membra.
Lavò le lacrime che rigavano il suo volto. 
L'operaio non pensò neanche per un secondo alle sue ferite, al fatto che ogni movimento provocava in lui dei dolori insopportabili e l'apertura delle croste ancora fresche.
Anche quando l'angelo aprì gli occhi l'operaio cercò di sorridere, di nascondere il dolore che gli bruciava la pelle, le ossa, il cuore.
Voleva che l'angelo non si preoccupasse, che pensasse solo alla propria guarigione e a recuperare le proprie energie.
La mattina l'angelo parlò.
Si chiamava reine.
Era caduta a causa di un altro angelo: erano legati col sangue, il più alto vincolo esistente, però nonostante gli angeli fossero creature celesti non erano privati completamente di tutti i sentimenti umani.
I due angeli avevano litigato e reine per la sofferenza dovuta al contrasto con il suo legante aveva perso il controllo del suo volo ed era caduta.
Finché non avesse recuperato l'uso delle ali sarebbe stata confinata nel mondo dell'operaio. Quest'ultimo credette per un momento che sarebbe potuto essere lui il nuovo angelo legante.
L'operaio era uno sciocco. Pensava ancora che esistessero le fiabe con il lieto fine.
Una creatura terrestre non ha speranze con una creatura che proviene da una realtà più elevata dalla sua. Soprattutto se possiede dei legami troppo forti da poter essere rotti con il dono di amore, attenzioni e carezze.
L'operaio si prese cura per qualche mese dell'angelo. Ormai il semplice elettricista non camminava più bene; le ferite provocate dal pestaggio non erano state trattate come necessario e il fisico del lavoratore ne aveva risentito irreversibilmente, ma nonostante questo lavorava con più velocità, con più vigore, così da poter ricevere una paga migliore. Più soldi significavano più cure per reine. 
Il suo angelo meritava il meglio anche al triste costo della salute fisica e mentale dell'operaio.
Una mattina trovò l'angelo in piedi davanti alla finestra. Un altro bellissimo angelo li porgeva la mano: era colui che aveva legato Reine a sé col sangue.
L'operaio capì in un istante: non aveva alcuna possibilità di poter competere con ciò che quell'angelo sceso dal cielo poteva dare a Reine. Lui era il suo legante.
I suoi sforzi, il suo sudore, le sue aspettative venivano vaporizzate dalla forza di tale legame.
Era giunto il momento degli addii.
Reine si girò solamente per consegnargli una piccola roccia tagliente e poi, con un sorriso, spiccò il volo con l'altro angelo.
Era finita la fiaba.
Si dice che l'operaio continui tutt'oggi a percorrere il ciglio di quella strada per andare a lavoro e che ogni mattina si affacci a quella finestra, sempre alla stessa ora, con l' infantile speranza che quell'angelo possa tornare, con l'infantile speranza di capire il perché di quella pietra. 
O semplicemente con l'adulta speranza che il sole da quella mattina non sorga più.

pedone
Pellegrino della sabbia

mercoledì 7 settembre 2011

overture


il cantastorie
Udite udite giovini e vegliardi,
nostra maestade die' disposizione
di porre gli intelletti più gagliardi
al suo servigio pe' un'alta effusione
d'ogni arte e degli arditi baluardi,
ch' all' uomo sono il sommo guiderdone.
Erigere si deve ogni intelletto
qui dove la realtà è lordo fumetto.


Qui ove come ottuso gamberetto
credendo d'avanzar si regredisce:
l'essenza è surclassata dall'aspetto
e nella forma sol tutto finisce,
l'italico paese, il lazzeretto
delle mere cervella rese lisce,
senza pensieri aguzzi o acuminati,

deserti per mediatici selciati...


Sermoni ipnotici abbiam trangugiati
avvezzi ad un olezzo incantenante.
Re Dancan, re di sguardi accalappiati
è il savio e il solitario governante
che acume e ingegno ha sempre corteggiati
e ripudiò l'inezia sacripante
nella sua corte ove con deferenza
si china il capo e non per obbedienza.