domenica 16 ottobre 2011

Interposizione 1 (sì la mia speranza è che ce ne possano essere molte, ma molte altre)

Un semplice annuncio: è appena stato creato il sito ufficiale dell'Associazione Culutrale Re Dancan.
Chi volesse mettersi in contatto col Re, adesso, potrà farlo anche da lì (vedere fra "Contatti")

amministratore
Nuove porte dorate si stanno spalancando...

L'amministratore Nic

giovedì 6 ottobre 2011

Lettera senza destinatario di un manovratore di mortaio

Cara Bariş,

questa è una lettera senza destinatario quindi non pretendo che arrivi nelle tue mani.
La lascio così, in balia del vento, che sia Dio a falla arrivare a te se veramente lo vorrà.
Mi trovo trinceato dietro le montagne della penisola di Gallipoli, a centinaia di Km da te che vivi la guerra da dentro l'ospedale di Ankara, mentre io la vivo da qui.
Per l'ennesima volta spero che tu stia bene.
Nel giro di un mese ti ho scritto centinaia di lettere, migliaia di parole, un miliardo di emozioni, tutte con il tuo nome riportato sul retro della busta.
Non so quante te ne siano arrivate, non so quante tu ne abbia lette, non so quante tu ne abbia capite...avresti dovuto avere la possibilità di rispondermi, la posta è l'unica cosa che ancora funziona bene in questa tana di fango e sangue.
Probabilmente non hai semplicemente voluto. 
E il bello è che ti capisco anche, solo che proprio non posso fare a meno di continuare a scriverti.
Vivo in simbiosi col mio mortaio, io lo nutro, lui mi protegge: ci sono momenti in cui sembra che le montagne di fronte a me stiano per crollarmi addosso, abbattute dalle navi attraccate proprio nel mare a pochi Km da queste mia tomba. Ho paura e ce n'ho talmente tanta che mi trovo a fissare il vuoto con tutto il corpo che mi trema e le lacrime che scendo copiose a rigarmi il volto, a mescolarsi con la polvere.
Mi sono arruolato perché la mia sfida, la mia battaglia personale, l'ho persa...pensavo che tutto questo, la patria, l'onore, l'impegno mi avrebbero reso un uomo migliore, più degno di te, più degno di me...sì, quella sfida che ho perso eri, sei e sarai sempre tu. Tu che mi hai fatto capire che non esiste limite alle passioni che un uomo può vivere, all'amore che può far scaturire dal proprio profondo, ma anche che non c'è limite ai danni che questa marea può lasciare in seguito al suo passaggio. Il mio spirito purtroppo non sa nuotare.
Ricordo quella notte di 3 mesi fa quando ci incontrammo di fronte a Yussuf il giocattolaio, tu nascosta dal tuo velo, io nascosto dalla mia tristezza...allora non ebbi il tempo di pensare, di cercare di fermarti, di parlarti.
Ascoltai il tuo verdetto e mi ritirai nella mia cella.
Ora che capisco come tutto ciò che sono e che vorrei essere è solo un riempitivo alla tua assenza, al mio fallimento e mi trovo qui a rischiare ogni giorno di perdere la vita, la sanità mentale e la coscienza per quale conquista...qualche cicatrice e tanta amarezza dentro.
Il destino è buffo a volte: allo stesso modo di quando io cercavo di smuovere le montagne per raggiungere il tuo cuore, il tutto senza sapere se i colpi che davo avessero effetti positivi oppure deleteri, oggi mi ritrovo a manovrare un mortaio ed a sparare verso l'ignoto, al di là di ostacoli insormontabili, senza sapere se colpirò un mio compagno, se colpirò un nemico oppure semplicemente se colpirò la dura spiaggia.
Ora capisco come la felicità non esista veramente se non può essere condivisa con una persona speciale...e quando scrivo speciale li attribuisco il significato più alto che si possa dare a questa parola.
Se mai tornerò da questa battaglia, da questo conflitto maledetto e se mai ti rivedrò ti prego non biasimarmi se non saprò comportarmi, non biasimarmi se sbaglierò, non biasimarmi se non riuscirò a guardarti negli occhi...ci sono emozioni che non sono controllabili.
Le nostre strade si sono divise, hai spiccato il volo lasciandomi a terra...io non imparerò mai a volare, purtroppo non possiedo le ali e mai mi nasceranno, però se mai vorrai tornare, se mai un giorno capirai che questo soldato semplice potrebbe ancora regalare qualcosa basterà che ti presenti proprio lì, davanti a quel vecchio negozio di giocattoli per bambini ed io ci sarò.
Devo ricaricare il mortaio. E' il mio turno. Ti lascio.
Kentdeki Galip


Pellegrino delle sabbia

pedone

sabato 1 ottobre 2011

Nella frenesia: vita vissuta


Nella frenesia tipica dell’ora di punta, in cui la vita sembra scivolare via ad una velocità impressionante, guardandomi attorno, la mia attenzione si posa sulla vetrina di un bar poco distante, tanto da poter leggere il menù del giorno sui tavoli, e scrutando al suo interno, il mio sguardo si sofferma su una coppia di anziani.
Sono seduti ad un tavolo e l’uomo sta cercando degli spiccioli nel suo piccolo portamonete, mentre la moglie si sta massaggiando una caviglia. L’espressione è dolorante, ma non appena il marito le rivolge uno sguardo preoccupato, sorride.
Ecco, è arrivato il cameriere con bevande e scontrino, mancano pochi centesimi per il totale, così l’anziano signore chiede gentilmente al giovane di guardare nella sua mano per indicargli la quantità giusta; Il ragazzo con fretta prende il denaro e si allontana.

Un bambino, giocando, cade davanti a me, così mi piego per aiutarlo e proprio mentre le lacrime stavano per sgorgare dai suoi occhioni verdi, con gentilezza gli dico che va tutto bene e il bimbo con gioiosa gratitudine riprende a giocare.
Appena il tempo di alzarmi e nuovamente cerco con velocità quel tavolino che tanto aveva attirato la mia attenzione. Riapro il libro e lascio che il vento sfogli le pagine.

Il sole è ancora caldo, nonostante l’estate sia finita e l’inverno si faccia avanti. Mi godo gli ultimi raggi non perdendo di vista l’anziana coppia.
Adesso stanno parlando con lentezza, nel frattempo l’uomo prende una penna e un piccolo foglio, mentre la moglie sembra che stia facendo un elenco.

E così, noto qualcosa che troppo spesso passa inosservato.

Lo sforzo di una mano segnata dal tempo, pesante e stanca, che a mala pena regge una penna, troppo piccola e scivolosa da tener ben salda tra le dita. Quell’atto così semplice e ordinario appare segnato dalla fatica e dall’indecisione della mente che si sforza, con silenziosa dignità, di ricordare come si scriva una parola, vaga, lontana, forse imparata su una piccolo quaderno, gelosamente custodito, ma ugualmente logoro perché portato nello straccio col quale si andava a lavorare nei campi, oppure, sì, quella nuova parola che ripetono sempre alla tv e che pare così semplice sulle labbra di chi popola quella scatola quadrata che spesso, purtroppo, riempie le loro giornate. E poi c’è la nuova generazione, iper tecnologica, che vive nella fretta e per la quale tutto è facile e scontato a tal punto da far temere nel chiedergli qualcosa, del resto “ Poveri cari, hanno già tanto da fare,  non voglio rubargli del tempo ”.
Dopo qualche minuto, l’elenco è terminato, il fogliettino viene piegato accuratamente e consegnato alla moglie.
Entrambi si alzano, si rimettono il cappotto, e si dirigono verso l’uscita.

L’anziano apre la porta, la moglie gli stringe la mano e così, riprendono il loro lento cammino.
Solo dopo qualche secondo, al richiamo di un bimbo, i due si voltano con un sorriso bellissimo, illuminato da una inaspettata vitalità.
E’ proprio quel bimbo che poco prima era caduto davanti a me. Corre anche la madre, che lo segue preoccupata. Raggiunta la coppia, i tre si perdono un abbraccio e la madre rallenta sospirando.
Ormai è tardi, e il sole non è altro che una sfera infuocata al di là delle montagne, ma la sua luce è comunque sufficiente ad illuminare il cammino di quelle quattro anime che ora avanzano l’una di fianco all’altra, mentre la frenesia dell’ora di punta, a poco a poco, svanisce.
MaRea (M. R.)

dama di corte